Il presidente del Consiglio ha fatto un’affermazione davvero grave. Ha detto: “Ho rinunciato da tempo ad avere un telefonino in quanto esposto a ogni tipo di intercettazione”.
E’ dura mandar giù l’idea che sia diventato tanto facile intercettare le telefonate. Il vecchio cronista ricorda quando nella casa madre della Sip in Corso Vittorio a Roma, accanto alle colonne dei commutatori sedevano gli intercettatori. Per “questioni di polizia” il funzionario della società telefonica poteva tirar fuori un modulo prefirmato dal magistrato sul quale era sufficiente aggiungere la data e il numero di telefono da controllare. Ma queste sono cose vecchie che, fra l’altro, nessuno sarebbe disposto a confermare, essendo un reato l’autorizzazione preconfezionata dall’inquirente. Altri tempi; le intercettazioni erano una faccenda di intelligence, soprattutto. Ma si intercettavano anche pericolosi extraparlamentari e criminali sospettati di rapimenti o di mafia. Insomma, il gioco doveva valere la candela, i reati, cioè, dovevano essere all’altezza dei costi sopportati.
Oggi è tutto più facile grazie alle sofisticate tecnologie di cui disponiamo. Intercettare è una fumata di sigaretta; direbbe il tabagista impenitente.
Le chiacchierate di Silvio Berlusconi sono state ascoltate per mesi e mesi. Dicono che si sono limitati ad intercettare esclusivamente le telefonate a sfondo godereccio. Come esserne sicuri? Dobbiamo confidare sulle nostre barbe finte (nella fattispecie quelli del controspionaggio) perché almeno le telefonate di Stato non siano state violate. Ma, ripetiamo, come esserne sicuri?
La rinuncia al cellulare (evoluzione dei nomi: anni fa era il furgone che trasportava fermati e arrestati) assomiglia al classico “chiudere la stalla dopo la fuga dei buoi”. Il coriaceo tycoon non ama stare sulla difensiva. “In materia di giustizia – ha ridetto – c’era un patto tra Fini e il sindacato dei magistrati, l’Anm, per bloccare le riforme. Questo spiega perché non è stata ancora fatta la riforma sulle intercettazioni”.
E’ certo che la questione-giustizia (le condanne Ue la fotografano puntualmente) da tre lustri a questa parte si intreccia con le vicende di Berlusconi, anzi, ci si avvinghiano. Si potrà parlare di riforme giudiziarie, di regolamentazione delle intercettazioni e di tutti i temi collegati quando Silvio Berlusconi avrà pagato il crimine di lesa maestà che commise allorché scese in campo e distrusse la gioiosa macchina da guerra dei compagnucci della parrocchietta. Trovare un che di penalmente rilevante nella vita di un imprenditore è difficile quanto trovare un carroarmato in un pagliaio. Ma da qui ad accusare un capitano d’industria di mafia, di omicidio, di tentata strage e via esagerando ce ne passa! Ce ne vuole di fantasia pure se il capitano è un pessimo soggetto come il presidente del Consiglio.
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