La vicenda dello spionaggio industriale alla Renault si complica. Le Monde anticipa i contenuti di un’inchiesta del prossimo numero del Canard enchaîné, rivista satirica che accanto alle vignette umoristiche è sempre stato attento agli scandali che riguardano il mondo politico e degli affari. Il settimanale avrebbe scoperto che l’informatore anonimo che ha fatto nascere i sospetti di spionaggio interno avrebbe ricevuto un primo pagamento di 250.000 euro, e ne vorrebbe altri 900.000 per fornire le prove scritte delle sue accuse.
A gennaio scorso, la Renault aveva licenziato in tronco tre suoi dirigenti ed era presto circolato il sospetto che fossero implicati in una vendita di informazioni ad aziende cinesi. Uno dei manager lavorava nell’azienda da oltre trent’anni e si stava occupando dello sviluppo delle auto elettriche, settore in cui Renault e il partner giapponese Nissan stanno investendo molto e che, a detta degli esperti, è uno dei settori chiave del mercato futuro dell’auto. In Giappone e negli Stati Uniti sono iniziate a dicembre scorso le vendite della Nissan Leaf, una delle prime auto alimentate esclusivamente ad elettricità concepite per il mercato di massa.
La direzione della Renault, che non ha rivelato l’identità dell’informatore, ha ridimensionato nel corso del tempo la portata dello scandalo, iniziando a parlare di “manipolazione” e non più di spionaggio industriale. Anche il coinvolgimento di aziende cinesi è stato successivamente smentito. Della vicenda si sta occupando la magistratura ordinaria, ed i risultati delle rogatorie internazionali ordinate per scoprire eventuali conti esteri nascosti dei tre dirigenti licenziati sono attesi a giorni. Finora, però, dei conti all’estero non si sarebbe trovata nessuna traccia.
Come scrive il Wall Street Journal, lo scandalo Renault sembra essere solo l’ultimo frutto del rapporto travagliato dei costruttori di auto con la Cina: se le case produttrici vogliono costruire e vendere i propri prodotti nel paese asiatico, vogliono però anche tenere nascoste le innovazioni tecnologiche, che la Cina sembra assai pronta ad assimilare. General Motors ha accusato in passato una casa automobilistica cinese di aver copiato il design di un suo modello. D’altra parte, la concorrenza spietata tra le aziende per il nascente mercato dell’auto elettrica deve aver contribuito al caso di «fuoco amico» che si sta rivelando lo scandalo Renault: un danno consistente a livello di immagine, ma anche un clamoroso boomerang per aver perso le competenze dei tre manager. L’azienda ha già detto che, se lo scandalo si rivelasse infondato, i dipendenti sarebbero di nuovo «benvenuti» alla sede di Parigi.
Fonte: Il Post