C’è Francesco Peluso, 56 anni, vissuto a Castelnuovo del Garda, condannato a due anni di reclusione per aver favorito la latitanza di Vincenzo Pernice, un boss dell’Alleanza di Secondigliano. C’è Ciro Cardo, 55 anni, cognato di Pernice e residente a Peschiera del Garda ma ora in carcere perchè condannato a sei anni a Verona per usura ed esercizio abusivo del credito. Il giorno della cattura di Pernice, eseguito dagli agenti della Dia, gli aveva fatto visita a bordo della sua Porsche. C’è anche Salvatore Longo, 37 anni, latitante, altro cognato di Pernice e condannato a Verona a 8 anni e sei mesi per usura. Era lui che manteneva i contatti con il boss via telefono più volte intercettato dagli uomini della Dia.
Tutti questi nomi appaiono nella motivazione della sentenza di condanna contro Francesco Peluso e il figlio Renato, condannati a due anni di reclusione per aver agevolato la latitante di un boss della camorra. I fatti risalgono al gennaio 2005. La decisione del tribunale di Venezia rappresenta uno straordinario documento che «certifica» la presenza della camorra sul nostro territorio e nel suo tessuto imprenditoriale.
I due Peluso sono stati condannati a due anni di reclusione perche «in concorso tra loro» e con l’obiettivo «di agevolare l’attività delle associazioni di stampo mafioso», riporta il capo d’imputazione, aiutavano il latitante Vincenzo Pernice a sfuggire agli artigli di inquirenti e procura antimafia di Venezia. Il Pernice viene descritto nella sentenza come appartenente all’Alleanza di Secondigliano, noto clan di camorra. Il boss era sfuggito ad una maxi operazione della procura di Napoli del 5 luglio 2004 e fu arrestato a Portogruaro il 15 gennaio 2005 dopo 6 mesi di latitanza. È, però, nella lettura della sentenza che emergono gli inquietanti legami della camorra con la nostra provincia e, in particolare, con il lago di Garda.
CARDO & PERNICE. Il giorno dell’arresto del latitante, Ciro Cardo è stato visto fuori dalla casa di Portogruaro di proprietà dei Peluso dove si era nascosto il Pernice. È il 15 gennaio 2005. Il Cardo si allontana poco prima del blitz degli agenti della Dia a bordo di una Porsche dove si trova un’altra persona. Pochi minuti e il boss finisce in manette mentre Francesco e Renato Peluso vengono denunciati per aver agevolato la latitanza di un camorrista con l’accusa di favoreggiamento.
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