«Sono arrivati due ragazzi dell’Fbi convinti che i miei clienti abbiano usufruito di vaste informazioni di insider trading. Ovviamente non sono d’accordo con la loro interpretazione. Ho quindi declinato la loro offerta di indossare microspie per incastrarvi».
Questa informale e-mail, spedita da John Kinnucan di Broadband Research il 26 ottobre a venti fondi d’investimento e pubblicata dal Wall Street Journal, ha improvvisamente portato alla luce un nuovo scandalo che fa tremare tutta la finanza americana: le autorità federali hanno quasi completato, dopo tre anni, una doppia inchiesta civile e penale di insider trading da una costa all’altra degli Stati Uniti. E sotto accusa potrebbero finire decine tra banchieri, consulenti, gestori di fondi, analisti e trader. Sia di protagonisti prestigiosi dei mercati – la newyorchese Goldman Sachs – che di società nuove e oscure – l’expert network californiano Primary Global Research. Numerose «reti», sospettano le autorità, avrebbero intascato guadagni illeciti per decine di milioni di dollari. Una prima ondata di incriminazioni, già presentate in seno a un gran jury che le deve approvare, potrebbe scattare entro fine anno.
L’incertezza rimane elevata: i casi di insider trading sono considerati difficili da provare in tribunale. Ma le dimensioni e ramificazioni delle indagini sono potenzialmente senza precedenti: l’obiettivo delle authority, dal ministero della giustizia (in particolare la procura di New York) alla Securities and Exchange Commission, sembra essere un vero e proprio processo a una diffusa cultura dell’illegalità o dell’irregolarità. Tanto da richiamare alla memoria lo shock dei bilanci truccati passato alla storia con i crack di Enron e Worldcom e quello, ancora fresco, dei mutui subprime.
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