Ammazzati e bruciati: un’esecuzione. Un sistema violento però spesso sottovalutato nonostante gli allarmi. Famiglie radicate nel territorio e grandi ricchezze
Un’esecuzione con rito mafioso: ammazzati a colpi di pistola e poi rinchiusi nell’auto data alle fiamme. L’epilogo drammatico della scomparsa dei due imprenditori di Vieste resuscita il fantasma di un sistema criminale di stampo mafioso sul Gargano. Un sistema sottovalutato a livello di opinione pubblica nonostante i forti e costanti richiami in questo senso, ultimo in senso temporale quello del procuratore della Repubblica di Bari, Antonio Laudati, competente per il distretto antimafia anche nel territorio della Capitanata, il quale a luglio a margine di una conferenza stampa in questura, tuonò: “La mafia garganica e’ un’emergenza nazionale, e’ un fenomeno di criminalita’ che non e’ secondo a nessun altro in Italia”. In effetti lo dicono i dati: su 141 omicidi in 10 anni sono 77 quelli irrisolti. “Probabilmente — ricordava Laudati — si tratta di un fenomeno sottovalutato e ricondotto a faide locali, di pastori e a forme di arretratezza criminale. Invece questa vera e propria guerra di mafia che e’ stata scatenata sul Gargano e’ riconducibile a una grandissima ricchezza, quella che viene dal controllo degli stupefacenti, dalle estorsioni, dal controllo dei flussi finanziari”.
Non si sa ancora se la barbara esecuzione dei due fratelli di Vieste sia riconducibile a screzi per confinamenti di terreni destinati ai pascoli oppure a questione attinenti alla loro attività di imprenditori del settore turistico O o ad altro ancora. Gli unici dati certi sono quelli delle modalità del rapimento e dell’esecuzione. Mafia, appunto.
L’EVOLUZIONE
Una mafia che sembra ormai radicata nel territorio dove le cosche, un tempo perfettamente riconducibili a famiglie in lotta per i terreni e per il bestiame, si sono organizzate. Basti ricordare la grava di San Marco in Lamis nella quale l’estate scorsa sono stati trovati durante lavori di bonifica i resti di quattro cadaveri. Un vero cimitero di mafia. Quella grotta degli orrori, profonda un centinaio di metri, secondo gli investigatori, era stata usata come cimitero da clan coinvolti nella sanguinosa faida del Gargano che in 30 anni ha prodotto decine di vittime. L’ultimo corpo ritrovato e’ del 24 agosto scorso, gli altri ritrovamenti sono del 4 agosto, quando furono recuperati due scheletri, e del 21 agosto.
Una mafia rurale che s’è evoluta nel corso degli anni, tanto da spingere il presidente della Regione Nichi Vendola, anni fa, a denunciare l’infiltrazione della cosiddetta mafia in doppiopetto anche e soprattutto in alcuni settori strategici per il Gargano come il turismo. Ne nacque una polemica feroce, il centrodestra attaccò Vendola, ma dietro le parole c’era la verità. Una verità rosso sangue.
L’INIZIO DELLA FAIDA
Il 30 dicembre 1978 e’ la data d’inizio della faida garganica tra le famiglie Libergolis e Primosa-Alfieri (poco meno di 50 morti in 31 anni). Nel corso di un litigio viene ucciso l’allevatore Lorenzo Ricucci (il figlio di 13 anni, Salvatore, rimane ferito), accusato di abigeato dai Libergolis. La vendetta si consuma nel dicembre dell’80: Giuseppe Libergolis, fratello di Francesco ‘Ciccillo’ (ucciso ieri sera) e’ ammazzato con colpi di lupara. Da allora la mattanza. Omicidi di altri allevatori, appartenenti ai due schieramenti, fanno lievitare il conto delle persone uccise sino ad arrivare alle recenti sentenze del maxi processo (nel 2009).
I DELITTI PIU’ RECENTI
Ma quella mafia di allevatori ha ormai cambiato pelle. Il 21 aprile 2009, viene ucciso Franco Romito, 43 anni, imprenditore, insieme col suo autista, Giuseppe Trotta.
Un’altra esecuzione feroce. I due viaggiavano a bordo di una Chrysler Voyager guidata da Trotta, quando furono affiancati da un’auto proveniente nel senso opposto di marcia dalla quale cominciarono a piovere colpi d’arma da fuoco. Romito solo una decina di mesi prima di essere ucciso era stato assolto da accuse pesanti: associazione mafiosa, traffico di droga, duplice omicidio. Era pero’ stato assolto sia in primo sia in secondo grado perche’ era emersa la sua collaborazione con i carabinieri a varie operazioni tra le quali una trappola tesa nella sua masseria di Manfredonia (nella quale aveva fatto piazzare microspie agli investigatori) per far confessare omicidi ed estorsioni ai boss dei clan rivali dei Li Bergolis e Lombardi.
All’uccisione di Franco Romito venne data una durissima risposta il 26 ottobre successivo con l’uccisione di ‘Ciccillo’ Libergolis, 66 anni, vecchio capoclan considerato elemento chiave nella malavita organizzata garganica.
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