Esisteva una forma di controspionaggio al servizio del governatore che intercettava per tempo le mosse degli investigatori e metteva a profitto quelle informazioni
Condannato per mafia va in carcere. Non è così scontato quando si tratta di colletti bianchi. Non lo era neppure per Cuffaro dopo il balletto di sentenze contraddittorie sul punto se avesse favorito singoli contigui alla mafia o l’intera organizzazione. Non lo era dopo la sortita del procuratore generale della Cassazione decisamente più tiepido dei giudici di legittimità che il favoreggiamento a Cosa nostra lo hanno confermato, ribadendo così quella che era la tesi della procura di Palermo fin dall’inizio dell’inchiesta sulle cosiddette Talpe alla Dda.
Come si ricorderà, non tutti i pm furono d’accordo sostenendo la tesi del concorso esterno che è stata poi perseguita con il secondo processo che volgerà a termine a febbraio. Anzi, lo staff di Pietro Grasso fu perfino sospettato di eccesso di cautela, quando invece i tecnici spiegano che è assai più difficile dal punto di vista probatorio dimostrare fatti precisi e circostanziati che integrano la condotta di favoreggiamento. Di fronte a un uomo che dimostra grande dignità consegnandosi senza indugio al carcere, non si può non provare rispetto.
Ma la condotta processuale e quella del condannato Cuffaro non cancellano quel che questo processo ha dimostrato. Il cuffarismo, come sistema di potere, cresciuto e sviluppatosi in quell’humus clientelare che è identico a quello in cui è stato allevato anche il suo successore, Raffaele Lombardo, alle prese con ombre analoghe a quelle del predecessore, poggiava anche su una rete di intelligence. Un controspionaggio al servizio del governatore che intercettava per tempo le mosse degli investigatori e metteva a profitto quelle informazioni allo scopo di garantire l’impunità del sistema. E questo riguarda le rivelazioni dei segreti a beneficio dell’ex assessore Mimmo Miceli e del tycoon sanitario Michele Aiello.
Nel rapporto con il primo c’è la spericolata triangolazione con il medico boss Giuseppe Guttadauro. Nel rapporto con Aiello, nell’ascesa improvvisa e nelle protezioni eccellenti di cui ha goduto nella politica e nella mafia, c’è il secondo e forse più importante aspetto della questione: con denari di assai sospetta provenienza Aiello ha costruito il proprio regno. Ma è con il sostegno del sistema sanitario perpetuato da Cuffaro che lo ha ingigantito fino a farne un impero. Cuffaro paga anche per questo. Ma il conto con quel sistema di potere non è affatto chiuso dietro le sbarre di una cella di Rebibbia.
Fonte: La Repubblica