Uno dei fondatori del cyberpunk parla a lungo della creatura di Julian Assange e del futuro della dissidenza online.
Bruce Sterling è uno che non parla mai a vanvera. Maestro del cyberpunk, anticipatore di tendenze tecnologiche e sociali, esperto in futurologia pur avendo dichiarato che la futurologia in sé è finita, ogni volta che si esprime su un argomento lo fa con cognizione di causa e portando qualche spunto originale. Da sempre la sua attenzione è stata puntata sul mondo del web, prima ancora che tale nome diventasse di uso comune: il suo saggio Giro di vite contro gli hacker è diventato ormai un classico nella descrizione della potenza “sovversiva” di internet. Logico che un fenomeno come l’esplosione del Cablegate a opera di Wikileaks attirasse la sua attenzione; e che tale attenzione meritasse prima o poi un’analisi.
L’occasione gliel’ha fornita Webstock 2011, l’annuale convention centrata sullo sviluppo delle tecnologie web e sulle sue ricadute sulla società. L’edizione del 2011 si svolgerà a febbraio in Nuova Zelanda; per l’occasione gli organizzatori hanno chiesto a Sterling di preparare un intervento, che è stato appena pubblicato sul sito ufficiale della manifestazione (e il cui link è presente nelle Risorse in rete). L’articolo dal titolo The blast shack (letteralmente, “l’esplosione della baracca”), si dilunga molto nell’analisi della nascita di Wikileaks; del contesto definito cypherpunk, unione tra “crittografia” e cyberpunk; del lavoro di Julian Assange. E di come tutto ciò che è successo e sta succedendo, sia in una certa misura inevitabile. Anzi, ci ha messo persino troppo tempo ad accadere.
Nella sua analisi Sterling inizia ricordando il lavoro di Timothy C. Mayo, un hacker californiano che nel 1992 scrisse un breve documento, The Crypto Anarchist Manifesto. Un documento molto “sci fi” in cui Mayo descriveva gli sviluppi delle tecniche di anonimato e crittografia su Internet, e di come si potevano usare per carpire e far circolare liberamente ogni tipo di informazione sulla rete, soprattutto quelle informazioni che gli Stati ci tengono a non divulgare.
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