Quando si parla di spaccio di droga in grandi quantità, di bande che nascono con questo intento e stringono rapporti con ambienti malavitosi italiani e stranieri, è sempre più frequente, oggi, vedere coinvolti ragazzi minorenni, che per non eccessive somme di denaro sono disposti a portare nella propria scuola le sostanze stupefacenti e venderle ai propri compagni.
Un problema, quello dell’aumento della criminalità minorile, che richiede interventi immediati da parte di chi deve far rispettare la legge, ma anche dei genitori, spesso assenti o impotenti davanti ad un fenomeno dilagante, e non solo nelle periferie degradate della città, ma anche tra le “famiglie bene”.
Libri, marijuana e cocaina nei loro zaini, progettavano tutto in una casa messa a disposizione da un adulto, che acquistava le sostanze e pianificava gli incontri tra i baby spacciatori, italiani ed albanesi. Per non destare sospetti, inoltre, la baby gang si muoveva in taxi per recapitare la merce agli acquirenti. Grazie a intercettazioni con microspie la polizia ha smascherato a L’Aquila un sistema ben architettato di spaccio. Oltre ai soliti discorsi tra adolescenti sulla scuola e le interrogazioni da cui scappare, le cimici hanno permesso anche di scoprire cosa i ragazzi avevano messo a punto per sentirsi grandi, per potersi magari togliere qualche sfizio in più con le somme ricavate, fino a 3000 euro per aver spacciato più di un chilo di marijuana tra gli studenti delle superiori.
E mentre casi come questo diventano oramai routine, l’opinione pubblica si interroga sul ruolo che possono avere insegnanti e genitori nell’educazione alla legalità di questi ragazzi, che molto spesso tendono ad ispirarsi a modelli di vita sbagliati.
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