“Gioacchino Genchi ha spiato 350 mila persone”, dicevano in coro politici e stampa. La Procura romana ha indagato, concludendo che le accuse contro il consulente informatico dei tribunali erano infondate. Ma nessuno gli chiede scusa
Il 24 gennaio 2009 Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, annuncia a reti unificate: “Sta per scoppiare uno scandalo enorme, il più grande della storia della repubblica: c’è un signore che ha spiato 350 mila persone”. Il signore in questione è Gioacchino Genchi, vicequestore di polizia, da vent’anni consulente informatico di procure, tribunali e corti d’Assise per quasi tutte le più delicate indagini e processi di mafia. Il suo lavoro consiste nell’incrociare intercettazioni e tabulati telefonici disposti e acquisiti dalla magistratura per stabilire chi, quando, dove e possibilmente perché ha rapporti con criminali. Dunque Genchi non ha mai intercettato una mosca in vita sua.
Ma un’opposizione inesistente e disinformata (salvo rare eccezioni) e una stampa sciatta e gregaria si bevono d’un fiato la bufala, anzi l’assecondano sparacchiando cifre a casaccio e accusando il presunto “spione” di ogni nefandezza senza uno straccio di prova. I politici, noti garantisti, emettono unanime condanna.
Schifani: «Tutelare istituzioni e cittadini ». Alfano: «Difendere gli apparati di sicurezza». Gasparri: «Roba da corte marziale». Rutelli (allora nel Pd e presidente del Copasir): «Caso molto rilevante per la libertà e la democrazia». Cicchitto: «Inquietante Grande fratello». Quagliariello: «Scenario inimmaginabile e preoccupante per la sicurezza dello Stato ». Bocchino (ancora Pdl): «Il più grande caso di spionaggio della storia repubblicana ». Mastella: «”Licio” Genchi è un pericolo per la democrazia». Tenaglia (Pd): «Vicenda grave». Violante: «Intollerabile». Zanda: «Tavaroli e Genchi, tante analogie» (l’uno spiava illegalmente migliaia di persone per Telecom, azienda privata, l’altro opera legalmente al servizio dello Stato, su mandato dei magistrati). “La Stampa” e il”Corriere” titolano: «Un italiano su 10 nell’archivio Genchi» (6 milioni di persone schedate, roba che nemmeno la Cia).”Il Giornale”: «Grande Orecchio, miniera d’oro».”Libero”: «L’intercettatore folle».
La profezia del premier, sostenuta da cotanto battage, si rivela azzeccata: due mesi dopo, nel marzo 2009, la Procura di Roma indaga Genchi per accessi abusivi alla Siatel (l’anagrafe tributaria) e sguinzaglia il Ros a perquisirgli e sequestrargli l’archivio informatico. L’accusa riguarda i più importanti accertamenti svolti da Genchi negli ultimi anni su stragi, narcotraffico e mafia. Compresi quelli sui telefoni del maresciallo del Ros Giorgio Riolo (arrestato e poi condannato come”talpa” alla Procura antimafia di Palermo) e sulla scheda Gsm coperta, intestata a una signora, che il mafioso poi pentito Campanella passò all’allora governatore di Sicilia Cuffaro per i contatti riservati con Riolo e un’altra talpa.
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