Bloccare l’ingerenza dei media piuttosto che lo strumento d’indagine in sé
Tema “caldo”, quello delle intercettazioni, e negli ultimi anni molto dibattuto per varie ragioni. Un argomento controverso, rigidamente ingabbiato tra esigenze di tutela della privacy di tutti i cittadini e necessità di violazioni della riservatezza – da parte degli organi inquirenti – dovute alla scoperta di comportamenti illeciti finalizzati alla commissione di reati. Ecco perché l’Associazione dei giovani avvocati ha indetto il seminario: “Intercettazioni: tecniche e inutilizzabilità. Orientamenti giurisprudenziali”. Una discussione a cui hanno preso parte il presidente dell’Aiga del capoluogo Antonello Talerico nelle vesti di moderatore, nonché, in qualità di relatori, l’associato di Fonetica e Fonologia dell’Unical Luciano Romito, l’insigne penalista Salvatore Staiano, il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, e i giudici del Tribunale del Riesame Giuseppe Perri e Pietro Scuteri.
Ad aprire il giro degli interventi il prof. Romito: «Il passaggio dall’orale allo scritto è per chiunque di noi una pratica antica. Voglio spiegare i rapporti tra gli idiomi: la differenza sta nelle strutture, cambia soltanto l’applicazione di determinate regole. Quando si intercetta bisogna conoscere i codici di partenza e di arrivo. La prassi prevede il conferimento di incarichi di tipo collegiale per l’audizione di conversazioni molto complesse. Vi sono diversi modi per stimare e poi trascrivere quanto si ascolta. L’alfabeto Morse, ad esempio, ha un’arbitrarietà pari a zero. Ma spesso si è costretti a interpretare e lo si fa correttamente solo se si ha la giusta chiave di lettura. È l’esperto che deve trascrivere».
A seguire il dott. Scuteri: «La Consulta nel 2008 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale in virtù di un’eccezione sollevata dall’avv. Staiano, riconoscendo alla difesa di poter estrarre copia del brogliaccio intercettivo e anche che leggere una traccia audio non può surrogare l’ascolto diretto». Altrimenti verrebbe leso «il diritto di difesa e il principio di parità fra le parti processuali».
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